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Corpi idrici

 

I “corpi idrici” superficiali e sotterranei rappresentano l’unità base a cui fare riferimento per la conformità con gli obiettivi ambientali imposti dalla Direttiva Quadro Acque.

Il corpo idrico è definito come una "coerente sotto-unità di un bacino idrografico o di un distretto idrografico" alla quale sia possibile assegnare l'obiettivo ambientale previsto dalla Direttiva, cioè il raggiungimento di un buono stato ecologico delle acque.

I corpi idrici sono a loro volta suddivisi nelle seguenti categorie di acque:

·      acque sotterranee (sorgenti montane e falde freatiche e artesiane)

·      acque superficiali (fiumi, laghi/invasi, acque lagunari, acque marino-costiere, acque territoriali)

Per ciascuna categoria di acque è stato realizzato un piano conoscitivo finalizzato a quantificare le pressioni e gli impatti che insistono sui singoli corpi idrici (prelievi d’acqua, scarichi, …) e a monitorare lo stato di salute di ciascun corpo idrico. La metodologia ha inizio con la tipizzazione di fiumi, laghi, acque di transizione e acque marino costiere, ovvero l’individuazione di “tipi” di acque caratteristici, per ognuno dei quali vengono definite le relative condizioni di riferimento, cioè le condizioni ideali in assenza di pressioni antropiche. Segue poi l’individuazione dei singoli corpi idrici superficiali e sotterranei, fatta sulla base delle pressioni significative e di discontinuità importanti. Attraverso un’apposita rete di monitoraggio vengono rilevate le condizioni reali dei corpi idrici, mediante indicatori biologici (pesci, macroinvertebrati e flora acquatica), chimici, quantitativi e idromorfologici. La procedura, che è iterativa, si conclude con la classificazione dello stato ecologico e dello stato chimico di ogni corpo idrico, che risulta dal confronto tra le condizioni reali rilevate e quelle di riferimento tipo-specifiche.

La Direttiva Quadro Acque riconosce che, sotto specifiche condizioni, alcuni corpi idrici potrebbero effettivamente non essere in grado di raggiungere l’obiettivo di qualità ambientale, e quindi consente agli Stati Membri di identificarli e designarli come corpi idrici artificiali (AWB) o corpi idrici fortemente modificati (HMWB) ovvero di assegnare una proroga del termine fissato per il loro raggiungimento o di attribuire loro obiettivi ambientali meno restrittivi.

L’art. 74, comma 2, lettera g, del D. Lgs. 152/06 definisce come fortemente modificato “un corpo idrico superficiale la cui natura, a seguito di alterazioni fisiche dovute a un'attività umana, è sostanzialmente modificata, come risulta dalla designazione fattane dall'autorità competente in base alle disposizioni degli artt. 118 e 120”. Per alterazione fisica si può intendere qualunque alterazione i cui effetti si traducano in modificazioni idromorfologiche tali da provocare un mutamento sostanziale delle caratteristiche naturali originarie del corpo idrico.

L’art. 74. comma 2, lettera f, del D.Lgs. 152/06 definisce il corpo idrico artificiale come “un corpo idrico superficiale creato da un'attività umana”. In altre parole il corpo idrico artificiale si differenzia dal corpo idrico fortemente modificato in quanto è un “nuovo” corpo idrico creato dall’uomo laddove non esisteva alcun corpo idrico naturale e non si origina per evoluzione fisica, spostamento, o riallineamento di un preesistente corpo idrico naturale.

La possibilità di classificare corpi idrici fortemente modificati e artificiali è stata introdotta per consentire agli Stati Membri di non rinunciare a quegli usi specifici che garantiscono funzioni sociali ed economiche, attuando nel contempo le misure di mitigazione dell’impatto finalizzate al miglioramento della qualità dei corpi idrici. I criteri tecnici per l’identificazione dei corpi idrici artificiali e fortemente modificati per le acque fluviali e lacustri, sono stati pubblicati relativamente di recente, attraverso l’emanazione del D.M. 156/2013, e le Regioni sono attualmente impegnate nei conseguenti adempimenti operativi.

Caratterizzazione dei corpi idrici fluviali

La definizione del quadro tecnico di riferimento per l’implementazione della Direttiva 2000/60 prevede alcuni passaggi chiave che sono: la tipizzazione dei corsi d’acqua, la definizione dei corpi idrici e l’attribuzione ad ogni corpo idrico della classe di rischio di non raggiungimento degli obiettivi di qualità previsti a livello europeo. Per quanto riguarda la tipizzazione, la Direttiva 2000/60 prevede che gli Stati membri debbano effettuare una caratterizzazione iniziale dei corpi idrici superficiali e una classificazione in Tipi fluviali mediante uno dei due sistemi previsti dall’Allegato II (sistemi A o B).

Nel dicembre 2006 è stata presentata dal Ministero dell’Ambiente la metodologia per la tipizzazione dei corsi d’acqua italiani. Questa metodologia, riportata nel D.M.16 giugno 2008, n. 131 è stata adottata per la tipizzazione definitiva e ufficiale dei corsi d’acqua da parte delle Amministrazioni del Distretto. Il documento del MATTM relativo alla “Metodologia per l’individuazione di tipi per le diverse categorie di acque superficiali” propone un approccio che si articola su tre livelli:

·      definizione di idroecoregioni (HER), cioè di aree geografiche all’interno delle quali gli ecosistemi di acqua dolce dovrebbero presentare una limitata variabilità per le caratteristiche chimiche, fisiche e biologiche. Questo primo livello di pianificazione si basa su una regionalizzazione del territorio europeo eseguita in Francia dal Centre Nationale du Machinisme Agricole, du Gènie Rural, des Eaux et des Fôrets (CEMAGREF);

·      definizione di tipi fluviali all’interno delle HER sulla base di un ristretto numero di variabili non incluse tra quelle utilizzate per la definizione delle HER;

·      definizione di tipologie di maggior dettaglio.

L’approccio metodologico è basato sulle teorie di controllo gerarchico degli ecosistemi acquatici dove i fattori di controllo globali determinano le condizioni locali osservate lungo i fiumi. La diversità naturale dei corsi d’acqua è considerata il risultato della sovrapposizione di due fattori: l’eterogeneità regionale e il gradiente monte-valle. L’eterogeneità regionale è individuata attraverso l’identificazione delle HER definite sulla base dei principali fattori che determinano le caratteristiche degli ecosistemi acquatici: orografia, geologia, clima. Il gradiente monte-valle e quindi la zonizzazione longitudinale di un corso d’acqua sono in stretta relazione con la sua taglia.

Il metodo utilizzato per assegnare ai corsi d’acqua una classe dimensionale è l’ordinamento secondo Strahler che classifica tratti fluviali in funzione della loro posizione nel reticolo idrografico, assegnando un codice numerico progressivo monte-valle dove il primo ordine corrisponde alla testata del bacino.

L’approccio adottato dal MATTM opera su tre livelli successivi di approfondimento:

Livello 1 - Definizione di idroecoregioni:

Livello 2 - Definizione di una tipologia di massima

Livello 3 - Definizione di una tipologia di dettaglio.

Il primo livello di pianificazione si basa su una regionalizzazione del territorio europeo eseguita in Francia dal Centre Nationale du Machinisme Agricole, du Gènie Rural, des Eaux et des Fôrets (CEMAGREF) e prevede la definizione di tipi fluviali all’interno delle HER sulla base di un ristretto numero di variabili non incluse tra quelle utilizzate per la definizione delle HER.

Il secondo livello porta all’individuazione di tipologie di massima, sulla base degli elementi descrittivi tra quelli del Sistema B, sistema scelto in Italia per la classificazione: perennità e persistenza, origine del corso d’acqua, distanza dall’origine (intesa come indicatore della taglia del corso d’acqua), morfologia dell’alveo (per i fiumi temporanei), influenza del bacino a monte. E’ articolato a sua volta in 6 steps e consente di individuare tipi fluviali all’interno delle HER attraverso l’utilizzo di pochi elementi descrittivi considerati significativi e di relativa facile applicabilità a scala italiana.

Come previsto dall’allegato 3 del D.lgs. 152/06, sono stati presi in considerazione ai fini della tipizzazione i corsi d’acqua aventi bacino idrografico maggiore di 10 km2. Non sono stati tipizzati corsi d’acqua aventi bacino idrografico di superficie minore.

I risultati di Livello 3 devono consentire una ridefinizione più accurata dei criteri/limiti utilizzati nei due livelli precedenti, sulla base delle specificità territoriali, dei dati disponibili, di particolari necessità gestionali, ecc. e offrono la possibilità di compensare eventuali incongruenze che derivano dalla definizione delle tipologie di Livello 2.

 

Individuazione dei tipi fluviali nel territorio distrettuale

Una volta definite le tipologie all’interno di ogni categoria di acque superficiali (fiumi, laghi/invasi, acque di transizione e acque costiere) e valutati gli impatti che insistono sulle medesime categorie di acque, il passo successivo consiste nell’identificazione dei corpi idrici. Il D.Lgs 152/06, all’art. 74 comma 2 lettera h, definisce il corpo idrico superficiale come “un elemento distinto e significativo di acque superficiali, quale un lago, un bacino artificiale, un torrente, fiume o canale, acque di transizione o un tratto di acque costiere”. I “corpi idrici”, nell’intendimento della direttiva europea, rappresentano le unità a cui fare riferimento per riportare e accertare la conformità con gli obiettivi ambientali. Un “corpo idrico superficiale” deve avere condizioni tali che sia possibile assegnare una ed una sola classe di stato ecologico delle acque con sufficiente attendibilità e precisione sulla base dei programmi di monitoraggio effettuati.

I criteri e i metodi per l’individuazione dei corpi idrici superficiali sono descritti alla sezione B del Decreto del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare 16 giugno 2008, n. 131 (Regolamento recante i criteri tecnici per la caratterizzazione dei corpi idrici (tipizzazione, individuazione dei corpi idrici, analisi delle pressioni). In sintesi i passaggi previsti dal decreto ministeriale per arrivare alla definizione dei corpi idrici superficiali sono, nell’ordine:

·      valutazione delle caratteristiche fisiche;

·      valutazione degli impatti delle pressioni quantitative, qualitative e idromorfologiche che comportano una variazione dello stato ecologico;

·      suddivisione delle acque superficiali in relazione alle aree protette per le quali sono stabiliti obiettivi specifici tali per cui i corpi idrici che vi ricadono sono assoggettati a loro volta ad obiettivi aggiuntivi.

L’individuazione dei corpi idrici deve essere finalizzata ad una razionale gestione delle acque superficiali e pertanto, ferma restando la necessità di suddividere il corpo idrico laddove vi siano dei cambiamenti nel suo stato ecologico, si è operato cercando di evitare un’eccessiva frammentazione.

La Direttiva 2000/60 prevede che un corpo idrico appartenga ad un unico tipo fluviale; sulla base di ciò, in prima battuta tutti i tratti fluviali tipizzati possono essere considerati corpi idrici.

All’interno di ogni tratto tipizzato è stata verificata la necessità di una suddivisione in più corpi idrici sulla base dei seguenti criteri:

·      Caratteristiche fisiche naturali;

·      Pressioni prevalenti;

·      Stato di qualità.

Caratteristiche fisiche naturali: all’interno di ogni tratto fluviale tipizzato è necessario verificare l’eventuale presenza di confluenze significative, tali da introdurre variazioni rilevanti del regime idrologico a valle e potenzialmente influire sullo stato di qualità in ragione del carico inquinante veicolato o dell’effetto diluente.

Pressioni prevalenti: un corpo idrico deve rappresentare un tratto fluviale omogeneo anche per ciò che riguarda le pressioni antropiche insistenti sullo stesso, direttamente o perché presenti nel bacino sotteso. Il tratto fluviale tipizzato è stato quindi sottoposto ad un’analisi delle pressioni al fine di evidenziare la presenza di disomogeneità significative, tali da influenzare potenzialmente lo stato di qualità e giustificare la suddivisione in più corpi idrici, relative alle principali categorie di pressioni antropiche: uso del suolo, sorgenti puntuali, derivazioni e alterazioni idromorfologiche. L’analisi delle pressioni dovrebbe anche condurre alla prima individuazione di corpi idrici nei quali le pressioni idromorfologiche sono prevalenti, il corpo idrico è potenzialmente a rischio di raggiungimento degli obiettivi di qualità, e quindi potrebbe rappresentare un possibile corpo idrico fortemente modificato (HMWB).

Sono state quindi analizzate le pressioni antropiche significative, in particolare: pressioni da fonte puntuale (proveniente da attività e impianti di depurazione civile, impianti industriali, siti inquinati ed altri), inquinamento significativo da fonte diffusa (proveniente da dilavamento urbano, attività agricole e di altro tipo), stima e individuazione delle estrazioni significative di acqua per usi urbani, industriali, agricoli e di altro tipo, stima e individuazione dell'impatto delle regolazioni significative del flusso idrico sulle caratteristiche complessive del flusso e sugli equilibri idrici, individuazione delle alterazioni morfologiche significative dei corpi idrici.

Per la definizione dei corpi idrici l’analisi delle pressioni condotta è stata di tipo qualitativo; è stata cioè valutata in ambiente GIS la presenza di discontinuità significative del tipo di pressione insistente all’interno di un tratto tipizzato. L’analisi condotta successivamente nell’ambito della procedura di valutazione del rischio è stata di tipo quali-quantitativo e ha portato alla valutazione del rischio di non raggiungimento degli obiettivi per ogni CI in ragione del tipo e dell’entità delle pressioni insistenti attraverso l’impiego di indicatori di maggior dettaglio.

Stato di qualità: un corpo idrico deve rappresentare un tratto fluviale omogeneo anche per quanto riguarda lo stato di qualità. Per i tratti fluviali per i quali sono disponibili dati di stato derivanti da pregresse attività di monitoraggio, i principali cambi di stato possono essere utilizzati per delineare i limiti di un corpo idrico, integrando tali dati con il risultato dell’analisi delle pressioni. Infatti, se un tratto fluviale presenta disomogeneità sulla base delle pressioni, ma lo stato è uniforme, potrebbe esser considerato un corpo idrico unico. E’ tuttavia necessario tenere presente che i dati disponibili all’atto della prima designazione dei corpi idrici fluviali (ex D.Lgs. 152/99) definivano lo stato di qualità in modo diverso da quanto previsto dalla WFD sia per quanto riguarda gli elementi biologici monitorati sia le modalità di espressione del giudizio di qualità. I risultati dei monitoraggi successivi ed ulteriori considerazioni ed approfondimenti potranno quindi essere utilizzati per la ridefinizione nel tempo dei confini dei corpi idrici.

Nella definizione dei corpi idrici sulla base dei criteri sopra esposti, si è partiti dal presupposto che in prima battuta ogni tratto tipizzato corrispondesse a un CI. I tratti fluviali tipizzati per i quali è stata necessaria una suddivisione ulteriore in più CI sono prevalentemente quelli di corsi d’acqua di collina o fondovalle appartenenti alle classi di taglia piccola, media o grande. Nella maggior parte dei casi il taglio è stato determinato dalla presenza di confluenze significative o dalla presenza di variazione della categoria di pressione prevalente insistente.

I dati prodotti nelle attività di individuazione dei corpi idrici sono stati organizzati in un dataset geografico. In particolare per quanto riguarda lo strato informativo, il prodotto ottenuto riguarda la creazione dei dati alfanumerici che caratterizzano il reticolo idrografico, distinguendo e descrivendo i corsi d’acqua, i tipi fluviali e i corpi idrici.

La struttura delle base dati geografiche e alfanumeriche consente una transcodifica nel caso in cui a livello nazionale venga modificata la modalità di codifica.

 

La Direttiva 2000/60/CE (WFD) prevede l’identificazione, a livello di ecoregioni e sulla base di pochi e semplici descrittori facilmente raffrontabili su grande scala, dei tipi di corpi idrici e per ognuno di essi la successiva definizione delle “condizioni tipo-specifiche”, cioè le condizioni rilevate nei siti di riferimento, quindi assunte come quelle “ideali” per ciascuna tipologia. Il sistema di classificazione dello Stato Ecologico prevede che per tutte le componenti biologiche considerate il risultato venga espresso come scostamento dalle condizioni di riferimento che si rilevano negli ambienti privi di pressioni antropiche. Lo scostamento dal valore atteso RQE, è il rapporto tra il valore del parametro analitico (ad es. indici derivati da metriche di abbondanza e diversità del popolamento macrobentonico, oppure abbondanza e diversità delle specie di diatomee) riscontrato nei siti di monitoraggio e quello rilevato nei siti di riferimento. I siti di riferimento sono stati individuati dalle diverse regioni italiane in ambienti privi di pressione antropica e i valori di riferimento sono pubblicati nel D.Lgs. 152/06. La ricerca delle condizioni di riferimento è effettuata dapprima sul territorio mentre, laddove non sia possibile individuare naturalmente i corpi idrici di riferimento, è necessario definirli in via teorica sulla base di un modello o di serie storiche basate su informazioni pregresse. Tali condizioni di riferimento rappresentano le caratteristiche biologiche, idromorfologiche e fisico chimiche tipiche di un corpo idrico relativamente immune da impatti antropici e sono necessarie per definire lo stato di qualità ambientale «elevato»: un ecotipo, cioè, caratterizzato da condizioni e comunità specifiche le cui componenti chimico-fisiche ed ecologiche non sono risultate influenzate da pressione antropica significativa.

I siti di riferimento sono stati individuati dalle diverse regioni italiane in ambienti privi di pressione antropica e i valori di riferimento sono pubblicati nel D.M. 260/2010.

 

Individuazione dei corpi idrici fluviali del territorio distrettuale

In concomitanza con le altre attività richieste dall’implementazione della Direttiva 2000/60, durante gli ultimi anni le amministrazioni del distretto hanno eseguito un aggiornamento della geometria e della denominazione dei corpi idrici superficiali.

In particolare, per i corpi idrici fluviali, le principali modificazioni sono intervenute per le considerazioni che seguono.

In seguito all’aggiornamento della geometria, alcuni fiumi non risultano più tipizzati in quanto il loro bacino imbrifero non raggiunge più i 10 km² richiesti dalla normativa, mentre altri sono stati tipizzati in quanto, al contrario, la superficie del bacino supera i 10 km², mentre in precedenza era inferiore;

Alcuni fiumi sono stati suddivisi in più tratti perché una più approfondita analisi delle loro caratteristiche idromorfologiche ha evidenziato una significativa differenza al loro interno; corpi idrici contigui sono stati uniti in quanto presentano le stesse condizioni idromorfologiche;

Altri corpi idrici sono stati suddivisi in quanto presentavano un obiettivo ambientale diverso a monte rispetto a quello a valle.

Alcuni tratti fluviali terminali sul fondovalle sono stati suddivisi in quanto nel loro tratto iniziale sono caratterizzati da versanti ripidi, spesso caratterizzati da tratti ripidi con presenza di briglie trasversali, mentre il loro tratto finale sul fondovalle risulta pianeggiante e caratterizzato da alterazioni fisiche dell’alveo riconducibili all’agricoltura ma che possono rappresentare anche un importante habitat per la vita dei pesci.

Talvolta questi tratti terminali costituiscono anche aree di infiltrazione nella falda e/o sono soggetti al prelievo d’acqua a scopo irriguo. Alcuni fiumi sono stati suddivisi in due tratti per la presenza di una diga che nel precedente piano non era stata considerata. Per alcuni fiumi è stata cambiata soltanto la tipologia del corpo idrico: si tratta principalmente di corpi idrici in precedenza classificati come “fiumi di origine glaciale”, che vengono classificati per il secondo piano di gestione come “nivo-pluviali pluviale a scorrimento superficiale”. Inoltre, un tratto fluviale in precedenza classificato come intermittente viene classificato con il nuovo piano come nivo-pluviale a scorrimento superficiale.

In Provincia di Trento l’individuazione di tratti omogenei per le pressioni insistenti e lo stato di qualità, senza giungere ad una frammentazione eccessiva delle aste fluviali, ha posto le situazioni più problematiche.

Infatti nella maggior parte dei casi le pressioni insistenti sono molteplici e non sempre uniformemente distribuite. Ad esempio le pressioni puntuali quali scarichi o derivazioni, dighe o traverse determinano degli impatti la cui estensione sui tratti a valle possono essere di diversa entità e dipendono sicuramente da più fattori tra cui:

·      rapporto portate degli scarichi o delle derivazioni rispetto alle portate del corso d’acqua;

·      presenza di più pressioni puntuali dello stesso tipo o di tipo diverso che possono avere effetti cumulativi o sinergici;

·      presenza di altre alterazioni ad esempio morfologiche con artificializzazione dell’alveo;

·      presenza di tratti in cui le portate idrologiche sono influenzate da fenomeni di subalveo o risorgive.

Diventa quindi difficoltoso valutare l’estensione spaziale degli effetti dell’inquinamento per immissione di sostanze esterne o dovuti all’alterazione del flusso, ad esempio per la presenza di una diga o di opere di derivazioni.

Nel caso invece di corsi d’acqua montani di medie dimensioni, spesso le pressioni più facilmente individuabili sono concentrate nel tratto più vallivo, in corrispondenza di insediamenti urbani o produttivi. I tratti più a monte o sono privi di impatti o più frequentemente sono presenti pressioni di tipo idromorfologico come briglie, difese spondali, canalizzazioni la cui entità è spesso di difficile valutazione perché spesso non sono disponibili dati georiferiti a scala provinciale, oppure i dati sono incompleti o non aggiornati. La valutazione dell’omogeneità di questi tratti fluviali può quindi portare a sottostimare l’entità delle pressioni insistenti. Più in generale, la localizzazione delle pressioni di tipo morfologico rappresenta l’aspetto più deficitario di tutte le valutazioni relative all’omogeneità del corpo idrico e successivamente del rischio di non raggiungimento degli obiettivi di qualità.

 

   
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